Storia delle donne fotografe

Dorothea Lange, 1936

Le donne hanno svolto un ruolo attivo nella storia della fotografia fin dai tempi della sua nascita, convenzionalmente collocata nel 1839, con la presentazione al pubblico dell'invenzione del dagherrotipo attribuita al francese Louis Daguerre[1].

A differenza della pittura e della scultura, l'arte della fotografia offrì loro una maggiore possibilità di partecipazione, non essendo materia di studio accademico e non essendo soggetta alle medesime convenzioni cui erano sottoposte le arti tradizionali[2].

Nel corso del XIX secolo molte donne sperimentarono l'uso e le potenzialità di questo mezzo, utilizzandolo a livello amatoriale per registrare momenti della propria vita o eventi particolari, per immortalare vedute panoramiche, come fece una delle prime dagherrotipiste, Franziska Möllinger, oppure se ne servirono nell'ambito della propria professione, ad esempio nelle scienze o nel campo dell'archeologia, come accadde per Anna Atkins e Alice Le Plongeon.[3] Soprattutto nel nord Europa molte donne praticarono la fotografia come opportunità di lavoro e di guadagno, aprendo studi in Danimarca, Svezia, Germania e Francia a partire dagli anni quaranta dell'Ottocento, mentre è in Gran Bretagna che fotografe amatoriali appartenenti a famiglie benestanti svilupparono la fotografia come arte alla fine del 1850.[4]

Nei primi decenni dalla sua nascita, tuttavia, la fotografia fu appannaggio di una ristretta cerchia di persone, perlopiù appartenenti alle classi agiate, che condivise al proprio interno le conoscenze tecniche su questo nuovo strumento, allora non di semplice utilizzo, e che fu in grado di procurarsi i materiali necessari per il suo funzionamento. Molte donne in quegli anni affiancarono i riconosciuti pionieri della fotografia, loro mariti o conoscenti, sia nella pratica fotografica, che nello sviluppo delle sue tecniche, e ne furono esse stesse sperimentatrici e innovatrici.[5]

Dalla fine dell'Ottocento, grazie al progresso delle scoperte e delle tecniche nel procedimento di produzione delle immagini, la fotografia risultò alla portata di più ampie fasce sociali e si moltiplicarono i suoi usi commerciali e la schiera di coloro che utilizzarono il mezzo a livello amatoriale e non, fra cui molte donne, che si dedicarono soprattutto al genere del ritratto.[6][7]

Alcune fotografe, come la pioniera del pittorialismo Julia Margaret Cameron, lo volsero a fini d'arte, adottando scenografie e pose ispirate ai dipinti classici o a scene bibliche; altre, come Denise Colomb, Madame d'Ora (pseudonimo di Dora Kallmus), Ida Kar e Alice Boughton, si specializzarono in questo genere per rispondere alla crescente richiesta di coloro che desideravano avere immagini di sé o testimoniare il raggiunto status economico, culturale o sociale; altre ancora, come Yva, per pubblicizzare prodotti commerciali, oppure, come Geraldine Moodie, per documentare etnie diverse.[8] Durante il nazismo la fotografa tedesca Eva Lendvai-Dircksen lo utilizzò per promuovere le ideologie razziste;[9] per il femminismo degli anni settanta il ritratto e l'autoritratto rappresentarono uno strumento di contestazione degli stereotipi femminili e di scoperta e affermazione della propria identità.[10]

Nel corso del Novecento numerose fotografe parteciparono attivamente ai principali movimenti che segnarono la storia della fotografia, come il pittorialismo, il fotosecessionismo (Gertrude Käsebier, Eva Watson-Schütze, Mary Devens), la straight photography (Diane Arbus, Berenice Abbott), così come presero parte alle sperimentazioni delle avanguardie artistiche: Bauhaus e dadaismo (Hannah Höch, Marianne Brandt), surrealismo (Lee Miller, Claude Cahun), futurismo (Wanda Wulz).

Gerda Taro, 1937

Le artiste che vissero l'esperienza della Repubblica di Weimar, per lo più di origini ebraica e quasi tutte emigrate in altri paesi dell'Europa e degli Stati Uniti durante il nazismo, diedero un importante contributo al rinnovamento dell'estetica fotografica, spesso esprimendo nella loro produzione idee sul genere e sulle relazioni sociali.[11]

Nella Repubblica di Weimar degli anni venti e in seguito nel resto dell'Europa, come effetto della crescita esponenziale della stampa illustrata, si affermò il fotogiornalismo (le fotografe europee più richieste furono Rogi André, Eva Besnyö e Germaine Krull, negli Stati Uniti, fra le altre, si distinse Margaret Bourke-White), mentre negli Stati Uniti negli anni trenta, grazie al patrocinio federale, in particolare della FSA (Farm Security Administration), l'agenzia federale che promosse la raccolta di documentazione sugli effetti della Grande Depressione, conobbe un grande impulso la fotografia documentaria, di cui una delle più note esponenti fu Dorothea Lange, che con le sue foto raccolte in diverse regioni del paese, mostrò al grande pubblico le difficili condizioni di vita della popolazione rurale e dei migranti.[12][13]

Durante la seconda guerra mondiale diverse fotografe divennero corrispondenti di guerra, mentre nei decenni precedenti esse avevano rappresentato un'eccezione, come nel caso di Gerda Taro durante la guerra civile spagnola, o di Olive Edis (1876-1955), la prima fotografa di guerra ufficiale della Gran Bretagna.[14]

Negli anni sessanta e settanta il movimento femminista mise in luce l'occultamento e l'emarginazione delle donne dalla storia dell'arte e gli stereotipi femminili presenti nella cultura visiva, evidenziando come i canoni artistici fossero fondati sullo sguardo maschile e perpetuassero la struttura patriarcale;[15] la produzione delle fotografe femministe o sensibili alle questioni poste dal femminismo, come Martha Rosler, Barbara Kruger e Cindy Sherman, si concentrò sul tema del corpo, della sessualità, delle relazioni, e sulla decostruzione delle rappresentazioni femminili, cercando altre vie per affermare una nuova estetica basata sulla differenza sessuale.[16][17]

A partire dagli anni ottanta altri temi che percorsero il dibattito fra le fotografe, specie negli Stati Uniti, furono la classe e l'etnia in relazione al genere e alla biografia, e la questione LGBT, mentre la sperimentazione e l'ibridazione di tecniche diverse - fotografia, collage, video, performance - connotarono sempre di più il lavoro di tutte le artiste.[18]

  1. ^ Rosenblum 2001, p. 113.
  2. ^ Fitzpatrick, p. 1503.
  3. ^ (EN) Naomi Rosenblum, A history of women photographers, London, Abbeville Press, 1994, p. 7, OCLC 468529201.
  4. ^ Fitzpatrick, pp. 1504-1505.
  5. ^ (FR) Thomas Galifot, La parentèle au risque de la photographie?, in Cl. Barbillon, P. Faracci (a cura di), Parent-elles. Compagne de, fille de, sœur de... Les femmes artistes au risque de la parentèle. Actes de colloque (Poitiers, musée Sainte-Croix, 23-24 sept. 2017), Poitiers, Université de Poitiers, 2017, pp. 53-65.
  6. ^ Zannier 2004, p. 23.
  7. ^ (EN) Becky Simmons, Amateur photographers, camera clubs, and society, in John Hannavy (a cura di), Enciclopedia of Nineteenth-Century Photography, New York, Routledge, 2008, p. 33.
  8. ^ Rosenblum 2001, p. 115.
  9. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :55
  10. ^ Casero.
  11. ^ Rosenblum 2010, p. 119.
  12. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :57
  13. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :39
  14. ^ (EN) Anne-Marie Beckmann, Felicity Korn (a cura di), Women war photographers : from Lee Miller to Anja Niedringhaus, Münich, Prestel, 2019, ISBN 9783791358680.
  15. ^ Rosenblum 2002, p. 113.
  16. ^ (EN) Emma Lewis, Photography, a feminist history : gender rights and gender roles on both sides of the camera, San Francisco, Chronicle Books, 2021, OCLC 1262795630.
  17. ^ (EN) Liz Wells, Women and photography, in Robin Lenman, Angela Nicholson (a cura di), The Oxford Companion to the Photograph, Oxford University Press, 2006, ISBN 9780198662716.
  18. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :56

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